di Salvatore Stanco
La birra trappista, per essere considerata tale, deve essere prodotta all’interno di un’abbazia sotto stretto controllo dei monaci e il ricavato deve essere destinato alle necessità della comunità monastica, alla solidarietà e ad opere di beneficenza; in un certo senso deve sottostare ad una sorta di “disciplinare”. Quando queste regole vengono rispettate, l’International Trappist Association (ITA) permette l’utilizzo del riconoscibilissimo marchio esagonale di Authentic Trappist Product (ATP). Tutto ciò per contrastare la concorrenza di altri birrifici che hanno utilizzato figure di monaci e nomi di abbazie sulle etichette.
I monaci trappisti, o meglio cistercensi di stretta osservanza, mettono la propria vita al servizio della preghiera e del lavoro. Consumano una piccola percentuale della birra prodotta per il loro ristoro e ne destinano la maggior parte alla vendita.
Attualmente la ITA raccoglie 19 abbazie che producono diversi prodotti (cioccolato, elisir e tisane). Quelle dedite alla produzione di birra sono 9. I birrifici si trovano per la maggior parte in Belgio (5), in Olanda (2), in Italia (1, Tre Fontane a Roma) e in Inghilterra (1).
A causa dell’invecchiamento dei monaci, la produzione ha subito un rallentamento. Nel gennaio 2020 il birrificio di Achel ha chiuso i battenti perché gli ultimi due monaci si sono trasferiti a Westmalle. La birra viene ancora prodotta da personale laico ma senza monaci non può essere considerata trappista.
La vita monastica non attrae più e i 30 monaci di Westmalle sentono aria di crisi. Il responsabile del birrificio ha messo in luce che “c’è una specie di pausa”, ma che in futuro “le persone potrebbero tornare a scegliere la vita monastica”.
Il birrificio americano Spencer ha chiuso nel 2022 e quello austriaco di Engelszell nel maggio del 2023.
L’abbazia di Scourmont, diventata famosa nel mondo grazie alla Chimay, ogni anno ricava circa 65 milioni di euro e organizza vacanze monastiche nella speranza di reclutare nuovi frati.
Il monastero di Konigshoeven che produce la Le Trappe, fu espulso dall’associazione perché i monaci, vecchi e stanchi, avevano delegato la produzione ad altra azienda. Nel 2005, dopo averne ripreso il controllo, è stato reintegrato.
Sempre meno giovani sono disposti ad abbracciare una vita rigorosa fatta di disciplina, che inizia alle 4 del mattino e finisce alla sera, intervallata da preghiera, lavoro, pasti in comunione e contemplazione.
Di certo non si può dire che i monasteri non siano al passo con i tempi, tutt’altro.
Westvleteren ha trasformato il sistema delle ordinazioni telefoniche in fiammingo a quello online in tempi relativamente brevi e la sua birra è la più ricercata data la sua rarità. Il monastero di Spencer, per fare fronte alle richieste del mercato americano, ha deciso di produrre anche una IPA, supportandola con una campagna sui social.
La sopravvivenza dei monasteri non è legata né a logiche di mercato né alla qualità della birra prodotta che è di indiscussa qualità. Le ragioni vanno cercate nella crisi delle vocazioni, nell’inattualità di regole e di uno stile di vita molto rigido.
Bisognerebbe sensibilizzare maggiormente le comunità sulla bellezza legata alla vita monastica e le ricompense spirituali che se ne traggono oppure si potrebbe fare maggiore affidamento sui frati dei monasteri di altri continenti, dove gli ordini sono in crescita, per rivitalizzare e rendere le abbazie più multiculturali tenendo in vita i birrifici al loro interno. La crisi delle vocazioni purtroppo non è un problema che viene trattato nelle business school e la soluzione non sembra facile. I monaci però, essendo per loro natura sempre fiduciosi credono che Dio risolverà tutto. Attraverso quali mezzi però non è dato sapere.