di Francesca Zaccarelli
Secondo l’ultimo report di WineAmerica, gli Stati Uniti, nonostante una leggera flessione nell’ultimo semestre del 2023, si riconfermano i principali consumatori e, allo stesso tempo, importatori di vino al mondo. Sebbene negli USA si registri una crescente produzione enologica domestica (con un giro di affari complessivo tra produzione, ristoranti, winetour e consumi di oltre 260 miliardi di dollari), la domanda di mercato è ancora troppo alta rispetto all’offerta. I dati del 2023 rivelano che i consumi hanno superato i 30 milioni di ettolitri (circa 34 litri procapite), con acquisti che fuori dai confini nazionali hanno registrato oltre i 6 miliardi di euro.
Il richiamo dei vini “premium” di altri Paesi è quindi ancora molto forte, e l´Europa domina i gusti dei consumatori statunitensi. La Francia si conferma primo il partner commerciale degli Usa, coprendo il 37% del mercato, cui segue l’Italia, che registra il 30% della quota.
Per quanto riguarda il Lazio, gli Stati Uniti si posizionano in media a pari merito con la Germania, rappresentando uno dei mercati più strategici.
Quali sono le tipologie preferite? Dipende. Il consumatore medio americano associa l´Italia al vino rosso, in una forma potente ma allo stesso tempo attraente al naso come al palato. E mentre l’interesse per i vini italiani da vitigni internazionali rimane forte in una fascia di bevitori “boomer” e benestanti, i winelover più giovani si appassionano per uve sconosciute prodotte magari da piccole cantine a conduzione familiare. I vini da vitigni autoctoni – specialmente quelli più particolari e focalizzati su un territorio come nel caso del Lazio – stanno quindi conquistando consensi sempre maggiori. In questo contesto, il Cesanese è forse il prodotto di punta del Lazio, seguito da Nero Buono e Sangiovese, anche nelle gradite versioni rosate e sparkling. Per i bianchi, Malvasia e Bellone sono i più apprezzati, sempre per il loro essere così tradizionali e storici. Considerando che nel Lazio si produce vino con almeno 30 dei 47 vitigni autoctoni della regione, le potenzialità per i prodotti laziali sono assolutamente promettenti. A ciò si aggiunge la gestione responsabile e sostenibile dei vigneti grazie al regime biologico che è sempre maggiore nella nostra regione,altra variabile che attira in modo determinante i consumatori più consapevoli (ed esigenti).
Parlando di denominazioni, la DOCG Frascati è sicuramente quella più strutturata e internazionalizzata, ma spesso dipende anche dalla grandezza e dalla competenza aziendale in materia. Per affrontare un mercato come quello americano, che richiede numerose certificazioni e possiede un modello distributivo singolare – il così detto Three Tier System (produttore- importatore/distributore- rivenditore) – ci vuole precisione, logistica e professionalità oltre che qualità. Nonostante la fatica, gli sforzi vengono riconosciuti nel mercato americano, tanto che due eccellenze vitivinicole della nostra regione sono state recentemente inserite dalla prestigiosa rivista Wine Spectator all’interno della classifica delle migliori cantine italiane, e proprio per la loro proposta di ottimi vini anche da vitigni autoctoni a l’impegno per la salvaguardia della biodiversità del territorio (parliamo di Casale del Giglio a Latina e Famiglia Cotarella nel viterbese).
Il Lazio si sta facendo inoltre conoscere anche come meta enoturistica. Complice la nostra magnifica capitale – l’unica città italiana che ogni americano conosce (fosse anche solo per fama cinematografica) – sempre più turisti del Nuovo Mondo si appassionano alle produzioni vitivinicole locali, e visitano le nostre cantine, o addirittura ne fondano di proprie o collaborano con quelle esistenti per creare nuovi prodotti. È il caso Jayson Woodbridges, a capo della Hundred Acre Winery (considerato da Robert Parker tra i più originali produttori della California) che ha scelto il Lazio per il suo “If you see Kay”, un Cabernet Sauvignon, con una punta di Petit Verdot.