di Fabrizio Colaci
Il 7 marzo scorso, sul palco dell’Hotel Lifestyle di Roma, Valentino Tesi, già due volte miglior Sommelier d’Italia e appassionato storyteller delle perle enologiche della sua terra, ha guidato un evento eccezionale dedicato ai Supertuscan in cui le aspettative non sono state soltanto raggiunte per via della qualità del panel dei vini in degustazione – alcune volte delle vere rarità – ma addirittura superate grazie al format della “degustazione alla cieca”, rivelatosi originale e spiazzante al tempo stesso, e che ha tenuto gli appassionati col fiato sospeso in ogni tasting, fino al disvelamento della tanto agognata etichetta.
E che come sempre accade in questi casi, ha sancito inossidabili conferme e svelato inaspettate sorprese.
Ma andiamo con ordine, partendo dall’oggetto della degustazione, i SuperTuscan, fortunato termine risalente alla metà degli anni ’80 coniato dal Master of Wine inglese Nicolas Belfrage per indicare un movimento di produttori pionieristici e relativi vini apripista che già da oltre di un decennio si proponevano come punto di rottura rispetto alla tradizione – principalmente chiantigiana – nelle modalità di concepire, realizzare e commerciare il vino in Toscana, liberi da ogni schema e disciplinare che potesse limitare l’espressione della propria inventiva e raccontando i propri territori in modo unico e originale.
Accanto all’alfiere Sangiovese e principalmente agli altri protagonisti della tradizione Chiantigiana, ecco comparire le uve tipiche del blend Bordolese come i Cabernet e il Merlot, spesso in compagnia di altri vitigni del novero internazionale come Syrah, Petit Verdot, Carmenère e molti altri, a volte ad arricchire le qualità dei nobili grappoli autoctoni, ma nel più dei casi a proporsi in uvaggi originali al 100% alloctoni.
Ma anche evoluzione ed innovazione tecnica e tecnologica tanto in vigna quanto in cantina, tradotta in alte densità d’impianto, basse rese vendemmiali, selezioni clonali scrupolose, ricerca della concentrazione cromatica e materica, ma soprattutto introduzione di barriques e piccole botti di rovere alla ricerca di vini eleganti dai tannini morbidi e vellutati come i nobili vini francesi di Bordeaux, iconico punto di riferimento del momento storico.
E poi l’esplorazione di nuove zone ed areali, fino ad allora meno mainstream, come ad esempio la sassosa costa maremmana – anch’essa di grande affinità pedoclimatica e geologica con le Graves bordolesi -, il Cortonese in cui il Syrah raggiunge picchi di espressività degni della Côte Rôtie nel Rodano o ancora nello stesso Chianti in cui il canto del Gallo Nero si fa più moderno e internazionale.
Si giunge finalmente agli assaggi: nove eccellenze in degustazione, di cui sei blend e tre vini in purezza.
Il primo round si gioca in territorio Chiantigiano ed è subito un confronto tra miti giocato sul terreno dell’intensità con le uve autoctone nel ruolo di pivot e che si svelano nell’ordine seguente:
Agricola San Felice “Vigorello” 2019, Felsina “Fontalloro” 2019 e Antinori “Tignanello” 2016.
Si cambia registro con la seconda tornata, tutta all’insegna dell’eleganza raffinata che coinvolge oltre al soave Cabernet Sauvignon diverse altre uve alloctone e coinvolge due campionissimi della costa tirrenica ed un prodotto ancora del Chianti: Fattoria Le Pupille “Saffredi” 2021, Tenuta San Guido “Sassicaia” 2020 e Tenuta degli Dei “Cavalli” 2016.
La terza e ultima tripletta presenta un mix eterogeneo sia di uve internazionali che territoriali, spaziando tra l’aretino, il Chianti classico e la Val d’Arno con etichette in degustazione Tenuta Sette Ponti “Oreno” 2018, Castello di Ama “L’Apparita” 2020 e Fattoria Varramista “Varramista Rosso” 2005.
A chiudere la serata, un’ultima degustazione eseguita in stile concorso che ha portato Valentino a divenire miglior Sommelier d’Italia nel 2019 e 2020.
Gli assaggi
Per puro spirito di curiosità e senza alcuna finalità di giudizio qualitativo, riportiamo di seguito i punteggi medi dei 9 vini degustati, elaborati su un campione di circa 50 partecipanti all’evento che così si sono espressi:
Vigorello 2019 (89,60); Fontalloro 2019 (92,07); Tignanello 2016 (93,20);
Il Vigorello, riconosciuto fin dal 1968 come il primo Supertuscan prodotto nel Chianti Classico, si fa valere per carattere territoriale grazie al deciso apporto del Pugnitello che dal 2006 ha sostituito il Sangiovese nella couvé attuale insieme a Merlot, Cabernet Sauvignon e Petit Verdot.
Stupisce il Fontalloro 2019, Sangiovese in purezza dei Colli Senesi, per l’impatto immediatamente appagante, sebbene il vino sia solo all’inizio della sua lunga traiettoria. Intenso in tutte le sue espressioni, dal colore rubino, al naso di frutta matura e spezie scure, al sorso pieno, spesso e generoso.
Emoziona infine il Tignanello 2016, pietra miliare nel panorama enologico italiano e internazionale, primo Sangiovese ad essere affinato in barrique. Sangiovese assieme ai due Cabernet, risulta in piena sintonia con l’ottima annata ed eccellente sotto ogni angolazione. Vibrante al palato, dai tannini setosi e con un finale che sembra non finire mai.
Saffredi 2021 (92,40); Sassicaia 2020 (91,27); Cavalli 2016 (90,67)
L’iconico e ricercato Saffredi a base di Cabernet Sauvignon e affiancato da Merlot e Petit Verdot, sorprende per l’impressionante freschezza nonostante l’annata caldissima. Fragola, lampone e cassis grandeggiano l’impatto aromatico per virare verso le spezie più delicate nel finale. Il sorso è ampio, suadente. Ha bisogno ancora di un po’ tempo per affinarsi, ma chi saprà aspettare non resterà certo deluso.
Il Sassicaia, uvaggio di Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc dell’omonima denominazione, seduce alla vista con il suo colore rosso carminio intenso. Il bouquet ampio e avvolgente di viola appassite, mirtillo in confettura, sentori di macchia mediterranea e note più evolute di cioccolato. Rotondo e dall’acidità in equilibrio con il tannino signorile e integrato, si distingue per l’ infinita persistenza nel ricordo di agrumi. Forse da attendere ancora un po’, ma siamo davanti ad un mito.
Si giunge al Cavalli, potente vino a base di Cabernet Sauvignon, Petit Verdot e Cabernet Franc che si svela immediatamente nella sua piena maturità cromatica, aromatica e gustativa. Rotondo e morbido, carnoso, denso e sfaccettato al palato e dalla buona persistenza si conferma all’apice della curva evolutiva.
Oreno 2018 (91,60); L’Apparita 2020 (92,40); Varramista Rosso 2005 (91,27)
Assemblaggio di Merlot e Cabernet Sauvignon, con un saldo di Petit Verdot, l’Oreno colpisce per il via del colore rubino lucente con sottili sfumature granate. Schiude fragranze di mora di rovo e ribes maturo, chiodi di garofano e cardamomo, lentisco, inchiostro e carruba. Il sorso è pieno, caldo, lungo e dalla tempra tannica di grandissima eleganza.
L’Apparita, primo merlot in purezza prodotto in Toscana, è un vino culto fin dalla sua prima annata 1985, frutto di un cru allevato con la forma della Lira aperta. Dal colore impenetrabile e dai profumi intensi ed esotici, si apre al palato con un attacco morbido, lasciando spazio a tannini la cui ricchezza ed eleganza si combinano con equilibrio. Degno dei migliori Pomerol, già stupendo così, può solo migliorare.
Chiude infine il Varramista Rosso, ottimo Syrah in purezza dal colore rosso rubino profondo. Predominano al naso le note tipiche del pepe nero e una piacevole nota ossidata a rifinire una base fruttata rigogliosa e matura, mentre in bocca, il vino possiede struttura tannica delicata e avvolgente a rendere lo sviluppo pieno e caldo, fino ad un finale largo e sfaccettato, sinonimo della piena maturità.