di Solange Vernò
Lo scorso mese è uscito nelle sale cinematografiche il film “Madame Clicquot”, tratto dal romanzo di Tilar Mazzeo. Un film che racconta la straordinaria storia di Barbe-Nicole Ponsardin, meglio conosciuta come Madame Clicquot, una delle prime imprenditrici di successo nel mondo del vino. Diretto da Thomas Napper con Haley Bennett nel ruolo della protagonista, il film è un viaggio attraverso le sfide e i trionfi di una donna che ha rivoluzionato l’industria dello champagne. Ambientato nell’epoca delle guerre napoleoniche, il film narra, su due linee temporali (la vita da sposata e la vita da vedova), il percorso di una giovane donna che, dopo la morte del marito François, viticoltore visionario, eredita l’azienda vinicola della famiglia Clicquot. Nonostante i limiti imposti dal patriarcato e le leggi commerciali restrittive di Napoleone, che riesce con astuzia ad aggirare soddisfacendo la domanda sempre più crescente del mercato russo assetato di champagne, Madame Clicquot si impone come una delle prime donne imprenditrici di successo nel mondo del vino.
Determinata a far crescere la sua azienda, Madame Clicquot introduce innovazioni fondamentali, come il primo champagne millesimato, il primo rosé per assemblaggio e la table de remuage per la chiarificazione del vino (fino al 1821 Veuve Clicquot-Ponsardin fu l’unica Maison ad utilizzare questo nuovo processo). Nel film, questi momenti chiave della sua vita vengono accennati in punta di piedi, forse troppo. Sebbene sia comprensibile che un’eccessiva attenzione ai dettagli tecnici della vinificazione avrebbe potuto annoiare il grande pubblico, qualche scena in più su questi aspetti sarebbe stata gradita. In alcuni momenti, infatti, il ritmo rallenta drasticamente per dare spazio a inquadrature impeccabili, quasi caravaggesche, che, seppur visivamente straordinarie, finiscono per risultare leziose e un po’ distanti dal piano emotivo dello spettatore.
Passione, sacrificio, dedizione, avversità. Sentimenti profondi che però vengono dedotti dalle vicissitudini narrate ma restano intrappolate nella protagonista senza troppo coinvolgere il pubblico, incantato dai costumi, dalla fotografia, dai primissimi piani di Haley Bennett.
Vanno sicuramente evidenziate due scene in cui assaporiamo finalmente tutta la prorompenza dello champagne. La prima: nella cantina buia e umida, circondata da bottiglie, Madame Clicquot cammina preoccupata. Improvvisamente, una bottiglia esplode, seguita da una detonazione a catena. Il rumore è assordante, vetri e champagne volano ovunque. La protagonista, colpita dal disastro, mostra frustrazione ma non cede. L’esplosione simboleggia le difficoltà della produzione in un’epoca senza tecniche moderne e sottolinea la resilienza di Madame Clicquot, che troverà nell’innovazione la soluzione per migliorare il suo champagne.
La seconda scena di grande trasporto coincide con il finale ambientato nell’aula processuale dove Madame Clicquot si trova a dover difendersi dall’ennesimo atto di repressione nei suoi confronti. Il suo No contro un matrimonio di convenienza con il suo amante Louis Bohne è un No rivoluzionario che rappresenta la sua determinazione e indipendenza. Rifiutando un matrimonio sceglie di affermare la propria libertà personale e imprenditoriale, respingendo le aspettative sociali dell’epoca. È un simbolo del coraggio di costruire il proprio destino, consolidando il suo ruolo come pioniera nel mondo del vino e nell’emancipazione femminile.