di Stefano Sarasso
A metà degli anni Novanta un appassionato di vino non poteva ancora sfruttare le enormi potenzialità del web e le possibilità di esplorare questo intrigante mondo erano limitate. Soprattutto venire a conoscenza dell’esistenza di alcune perle enologiche al di fuori dei territori più consolidati era davvero difficile. Il merito del mio incontro con il Patriglione di Cosimo Taurino lo attribuisco alla competenza di un enotecario illuminato di Otranto, un personaggio che sembrava fuoriuscito da un romanzo di Süskind. Grazie a lui mi trovai di fronte ad una vera selezione di vini salentini e pugliesi e all’apice di quella progressione era stato collocato lui, il Patriglione. Una bottiglia sontuosa, che riportava in etichetta l’immagine di un vigneto ed un prezzo elevato, probabilmente incomprensibile per molti consumatori dell’epoca. Questo grande rosso salentino, la cui prima vendemmia risale al 1975, è stato il primo caso in Puglia in cui si è deciso di vinificare singolarmente un vigneto e di scriverne il nome in etichetta, esattamente come raccomandato dal Veronelli in quegli anni.
Cosimo Taurino e l’enologo Severino Garofano, a partire dagli anni Settanta e O
ttanta, sono stati delle figure chiave per la rinascita della viticoltura della Puglia, una regione per molto tempo vista come ‘’terra-cisterna’’. Grazie a loro, il Patriglione è diventato l’espressione più alta delle potenzialità del Negroamaro, il più antico vitigno della Puglia meridionale. Dietro questa gemma enologica si cela l’effetto ‘’terroir’’ di Guagnano, un comune dell’Alto Salento che offre un pittoresco paesaggio di masserie e torri di vedetta e un clima davvero particolare. L’ambiente caldo-arido qui è mitigato dalle brezze marine dei due mari: l’Adriatico e lo Ionio che distano entrambi circa 20 chilometri, regalando in estate notti più fresche ed escursioni termiche inconsuete per la piana pugliese.
Il Feudo di Patriglione si estende per 15 ettari e poggia su un suolo prevalentemente costituito da materiali calcarei tipici dell’entroterra salentino, dove talvolta affiora in superficie la pietra leccese, superbamente utilizzata in campo architettonico e scultoreo. Le caratteristiche del terreno e la particolare posizione geografica portano le uve a maturare tardivamente rispetto alla prima decade di settembre che rappresenta la norma per il resto dei vigneti della zona. Per il Patriglione, Severino Garofano e Cosimo Taurino si ispirarono proprio all’Amarone, solo che qui, la costante ventilazione proveniente dai due mari asciuga le uve senza bisogno di camera di appassimento. Basta lasciarle sulla pianta. Ancora oggi si seguono gli stessi protocolli, appassendo un 30% di uve e ottenendo una resa di appena 40 quintali a ettaro. Nelle annate piovose le condizioni di umidità non consentono questa surmaturazione e il pregiato cru non viene prodotto. Le caratteristiche del vitigno e del territorio vengono rispettate senza l’utilizzo di concimazioni o trattamenti. La maturazione si svolge per circa 15 mesi in botti piccole e cisterne vetrificate mentre l’uscita in commercio come Negroamaro Salento Igp non avviene prima di quattro anni dalla vendemmia. Nelle annate di fine secolo è presente anche una piccola percentuale di Malvasia nera.
Nel calice il fuoriclasse salentino esibisce una potenza, in tutte le sue fasi di evoluzione coniugata alla finezza, mentre l’effetto di raffreddamento generato dai venti marini regala un’acidità vero pilastro di una monumentale longevità.
Vale la pena anche ricordare che il Patriglione ha acquisito notevole fama sul mercato nord-americano, grazie alla presenza della Base Usaf di Brindisi dove tra i suoi cinquemila addetti tra militari e civili ha trovato fin da subito dei fedeli sostenitori.