Un viaggio di Sergio Folgarelli (a cura di Sergio Aricò)
Da quando mi sono avvicinato al fascinoso e intrigante mondo del vino ho avuto fin dal principio un debole per un vitigno considerato un’icona nel panorama enologico italiano: il riferimento va al Verdicchio da cui vengono prodotti vini bianchi che regalano emozioni a tutto tondo.
Cogliendo l’occasione dell’evento Esperienze di Vitae 2024, svoltasi a Pesaro lo scorso 17 marzo ho voluto visitare una parte del territorio marchigiano che presenta un paesaggio particolarmente variegato che si estende dalle coste fino ai rilievi appenninici; questa diversità si riflette anche nelle condizioni pedoclimatiche che a loro volta influenzano notevolmente la viticoltura. I terreni sono calcarei e argillosi con aree che presentano anche formazioni di sabbia e ghiaia. Ho soggiornato presso l’agriturismo “Le Piagge” in località Castelplanio vicino alle celebri grotte di Frasassi che consiglio assolutamente di esplorare. La struttura è immersa in una zona rurale, quasi incontaminata dove il tempo sembra essersi fermato; l’accoglienza è stata calorosa e difficilmente dimenticherò le colazioni a base di confetture e squisiti biscotti fatti in casa.
Dalla mia short list decido, quindi, di selezionare quattro cantine.
La prima in ordine cronologico è Mirizzi di Montecappone sulle colline di Jesi fondata alla fine degli anni 60’ dove ho la fortuna di essere ricevuto dal proprietario oltre che dai suoi collaboratori. Il sottosuolo dei terreni dell’azienda è composto da marna arenaria calcarea che fornisce un preciso imprinting ai loro vini eleganti e longevi: nella sostanza un assortimento di elevata qualità che racconta il territorio marchigiano nel suo autentico valore. Degno di menzione il nuovo show room aziendale costruito dopo la pandemia e concepito per venire sempre più incontro alle esigenze di numerosi enoturisti e appassionati.
Dei ben nove assaggi fatti sono rimasto favorevolmente colpito dall’Utopia 2012 Castelli di Jesi riserva classico Docg da uve 100% Verdicchio per l’armonia riscontrata soprattutto nella fase gustolfattiva.
Seconda tappa del tour è stata l’azienda Santa Barbara che prende il nome dall’omonima frazione dov’è collocata. La filosofia aziendale segue una sorta di fil rouge con la matrice del terroir applicando allo stesso tempo nuovi concetti di produzione attraverso la pratica del diradamento e una cura maniacale della sanità delle uve. Parte della struttura è integrata nei sotterranei di un vecchio monastero che rende la degustazione dei sette vini (otto assaggi, aggiungendo il loro olio) ancor più suggestiva; sugli scudi il Tardivo ma non Tardo 2020 con le sue nuance di frutta tropicale che entrano in sintonia con netti sentori d’idrocarburi. Accattivante anche l’etichetta appositamente disegnata dalla pittrice Catia Uliassi.
Il giorno seguente mi sono recato presso l’azienda “la Distesa” dove le viti, allevate secondo i principi biologici, sono radicate su terreni argillosi e calcarei coltivati in totale assenza di fertilizzanti (soltanto con basse dosi di rame e zolfo). Così le fermentazioni alcoliche sono svolte da lieviti naturali e i processi quali chiarificazioni e filtrazioni, sono quasi del tutto aboliti. I vini decisamente espressivi, dal volto artigianale risultano schietti condensando tutti gli umori e le caratteristiche della zona. Negli ultimi anni la casa vinicola è diventata anche uno spazio culturale dove vengono svolte attività culturali per rafforzare il legame tra musica, arte e vino.
Tra gli assaggi effettuati sia da vasche che da bottiglia mi ha impressionato l’estesa complessità del Nur 2022: trattasi di un blend di Trebbiano, Malvasia e Verdicchio realizzato con macerazione sulle bucce per dieci giorni che svela una trama di grande ricchezza espressiva con un profilo olfattivo di agrumi, erbe aromatiche, miele e caramello.
L’ultima cantina visitata è stata “La Staffa”. Sulle dolci colline di Staffolo (Ancona), nel nord delle Marche, la tenuta si estende su 12 ettari vitati condotti in agricoltura biologica e dedicati quasi esclusivamente al Verdicchio affiancato da piccole percentuali di Montepulciano e Trebbiano. I filari, che in parte superano i 50 anni di età, poggiano su suoli un tempo occupati da sorgive salmastre, fattore alla base dello spiccato timbro sapido-minerale dei vini, mentre l’altitudine compresa tra i 400 e i 500 metri sul livello del mare e le elevate escursioni termiche tra il giorno e la notte contribuiscono alla loro pregevole finezza aromatica.
Come contenitori vinari per le fermentazioni spontanee e le conseguenti maturazioni, vengono impiegate principalmente vasche di cemento ma anche serbatoi di acciaio a eccezione del Rosso ‘Rubinia’ che invecchia invece in barrique. Della batteria di degustazione composta da sei assaggi, sul gradino più alto del podio finiscono in ex equo il Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Docg Classico “Rincrocca” 2020 e il Verdicchio Selva di Sotto 2019 la cui eleganza la ricorderò per molto tempo.
Per quel che concerne la gastronomia, sono diverse le portate della tradizione dove talvolta i sapori della montagna incontrano quelli marinari come, ad esempio, negli spaghetti mari e monti, a base di calamari e funghi oppure nella rana pescatrice con porchetta. Altri primi piatti tipici sono le lasagne all’ascolana, con tartufo bianco, i cappelletti in brodo di cappone, le tagliatelle con i calamari e le molecche (code di scampi dal guscio tenero). Altre pietanze rinomate sono il merluzzo alla marchigiana, con sugo di pomodoro, le sarde di Ancona, impanate e cotte al forno. La cucina marchigiana propone, altresì, molte ricette di dolci regionali di assoluto interesse. Ricordiamo le castagnole, palline di pasta dolce fritte in olio e strutto, la crema fritta, le beccute, pagnottine di pane dolce a base di farina e decorate con pinoli ed uva sultanina e la cicerchiata, dolce tipico del carnevale, pressoché simile ai più celebri struffoli napoletani.
Non solo enoturismo ma anche uno straordinario patrimonio storico-culturale caratterizza la regione Marche. Sul fronte dei luoghi da visitare abbiamo Urbino, città UNESCO e patria di Raffaello, la Riviera del Conero con spiagge sorprendenti sovrastate dal Monte Conero (terra di grandi vini rossi), che sprofonda nel mare cristallino, ricco di insenature rocciose o sabbiose. La città di Fabriano nell’immaginario collettivo rimanda, altresì, alle cartiere che oggi producono principalmente banconote ma anche i fogli da disegno F4 che hanno accompagnato numerose generazioni di studenti.
Il Comune di Jesi è, invece, uno scrigno di storia, arte, cultura in mezzo alle colline, a metà strada tra il mare e la montagna; le sue origini sono antiche ed è proprio qui che nacque Federico II di Svevia nel lontano 1194. Per gli amanti della natura, invece, le cosiddette “lame rosse” sono uno dei luoghi più conosciuti e affascinanti dei Monti Sibillini che riproducono l’atmosfera marziana del Grand Canyon.
Da non tralasciare un blitz ad Ascoli Piceno, la città del travertino oltreché delle famose olive. La sua Piazza del Popolo è considerata una delle più belle d’Italia; di forma rettangolare è delimitata dalla poderosa facciata del Palazzo dei Capitani, lo storico Caffè Meletti di gusto liberty e dalle gotiche forme della Chiesa di San Francesco, al quale è addossata la Loggia dei Mercanti.
Il resoconto del mio breve ma intenso viaggio volge al termine con l’auspicio di tornare quanto prima a far visita ad altri produttori e conoscere meglio una terra che non smette mai di sorprendere e di disvelare – ai suoi abitanti e ai turisti – le sue molteplici sfaccettature, i suoi variegati colori, i suoi paesaggi mozzafiato e i suoi tesori preziosi: in definitiva, una fucina di grandi emozioni tutte da scoprire.