Un viaggio di Lucia Oceano a cura di Sergio Aricò
Le isole Eolie situate a nord della costa siciliana rappresentano una delle mete più ricercate dai turisti di tutto il mondo e dal 2000 sono catalogate come patrimonio dell’Unesco.
Il mio viaggio enogastronomico ha fatto tappa a Lipari, la più grande delle sette isole che compongono l’arcipelago. Molteplici i luoghi da visitare in questo “paradiso terrestre” e non risulta facile elencarli tutti visto che tra spiagge, monumenti e siti archeologici c’è solo l’imbarazzo della scelta. Nel centro cittadino, troviamo piazza Ugo di Sant’Onofrio detta “Marina Corta” che introduce il Corso Vittorio Emanuele dove poter passeggiare ammirando edifici storici, tra cui il Chiostro Normanno e la Cattedrale di San Bartolomeo. Meritano una menzione anche il Museo archeologico Luigi Bernabò Brea con sede nel complesso del Castello di Lipari, la chiesa della Madonna della Catena e l’Osservatorio geofisico.
Se siete, invece, alla ricerca di un panorama mozzafiato il Belvedere Quattrocchi di certo non vi deluderà.
E per degustare un buon vino? (ecco la fatidica domanda che aspettavate cari amici dell’Ais). A circa venti minuti d’auto o se preferite con lo scooter si raggiunge la frazione di Quattropani nell’area nord-occidentale dell’isola dove ha sede La Tenuta di Castellaro a 350 mt. sul livello del mare. L’azienda nasce nel 2005 da un ambizioso progetto degli imprenditori bergamaschi Massimo Lentsch e Stefania Frattolillo letteralmente folgorati dall’incantevole Lipari. Essendo anche un wine resort è anche possibile soggiornare godendo di un’atmosfera impareggiabile a due passi dalle vigne. I prodotti sono la cartina tornasole dell’ambiente pedoclimatico che alberga sull’isola così come dei terreni vulcanici di cui è impregnata, particolarmente fertili perché ricchi di elementi minerali come fosforo, potassio, ferro, magnesio e calcio.
Il clima temperato-ventilato è soggetto all’influenza del mare che svolge un’importante azione mitigatrice e aumenta il grado di umidità atmosferica presente in maniera massiccia sulla Piana di Castellaro dove si riscontra anche una forte escursione termica tra il giorno e la notte che giova all’esaltazione delle peculiari caratteristiche del vino. Per la totalità dei vigneti viene adoperato il sistema di coltivazione ad alberello con un sesto d’impianto “a quinconce”, dove ogni vite si trova al vertice di un triangolo equilatero, ad una distanza di 1,20mt. x 1,20mt., garantendo alla pianta un’esposizione a tutto tondo.
Per la cronaca, le vigne sono coltivate in regime rigorosamente biologico; affacciata sull’Isola di Vulcano con orientamento a Sud Est, si trova uno dei fiori all’occhiello dell’azienda ovvero “Vigna Cappero” dove il perfetto connubio tra gli agenti atmosferici e il terroir regalano un passito di rara intensità. Per quel che concerne le pratiche in cantina, attraverso un termolabirinto viene creato un sistema di climatizzazione naturale che permette di mantenere in barricaia una temperatura ed un grado di umidità costante, ideale per l’affinamento dei vini. Il programma della visita guidata può svolgersi anche in gruppo con altri visitatori e ha una durata di circa due ore e mezza all’ora del tramonto per godere delle sfumature cromatiche che solo questa parte della giornata può offrire provando secondo programma quattro calici accompagnati da pietanze locali.
Durante la degustazione sono rimasta favorevolmente colpita dal Marsili, un vino fuori dagli schemi realizzato con metodo ancestrale da uve di Pinot Nero. Lievemente frizzante, al naso ricorda erbe aromatiche e scorza di agrumi mentre al gusto la freschezza è ben integrata con la sapidità. Di notevole spessore ho trovato l’Eúxenos una versione secca della Malvasia delle Lipari in purezza. Fermentazione spontanea in anfora con contatto sulle bucce a cappello sommerso per circa 60 giorni, successivamente il vino viene affinato per ulteriori 10 mesi in anfora di cocciopesto; versatile in abbinamento, si sposa bene con piatti della cucina orientale oltreché con formaggi erborinati di media stagionatura.
Ovviamente non potevo esimermi dall’assaggiare due bottiglie must frutto dei vitigni autoctoni per eccellenza: mi riferisco al Corinto e alla Malvasia delle Lipari. Il primo è prodotto con uve Corinto Nero 100%, vitigno di origine greca che riesce a sprigionare al naso nuance di frutta rossa matura e liquirizia mentre a livello gustativo risulta lievemente tannico ed elegante. Il secondo vino prende il nome dall’omonimo vitigno: la Malvasia delle Lipari, vero “nettare degli Dei”. Questo vino Doc è il risultato della cosiddetta viticoltura eroica nascendo da vigneti arrampicati su terrazze a strapiombo sul mare. Dopo la vendemmia, le uve vengono fatte appassire direttamente in vigna per circa 15 giorni. L’impatto visivo è un’apripista che non lascia dubbi sul proseguo: dorato brillante che al naso trasferisce rivoli di albicocca matura ed elicriso. In bocca si riscontra un buon equilibrio tra dolcezza e acidità.
E per mangiare? Anche in questo caso i prodotti della cucina tipica eoliana abbondano con antipasti e piatti a base di pesce: dalle alici marinate ai gamberetti di nassa passando per la pasta all’eoliana con tonno, aglio, olive, capperi, pomodorini, pepe nero senza tralasciare l’ormai noto pane “cunzato”, specialità evergreen delle Eolie. Per il comparto dolciario abbiamo i “Nacatuli” che si compongono di una pasta esterna a base di farina, strutto, uova e zucchero e di una interna con un impasto di mandorle, succo di mandarino e spezie varie (cannella, chiodi di garofano ecc.). La particolarità del dolce è che una volta composto, come una specie di tortello, la pasta esterna viene decorata con l’uso di pinzette e lamette in maniera tale da ottenere delle lavorazioni dall’impatto stilistico elevato.
Altra prelibatezza è la “Spicchitedda”, biscotto mandorlato che si prepara durante il periodo natalizio ed è caratterizzato da un colore bruno acceso dovuto all’uso di mosto cotto dalla spiccata aromaticità. Piccola curiosità per gli scaramantici riguarda una vecchia tradizione della frazione di Quattropani che è quella di mettere delle zucche secche a protezione delle porte delle case per tenere alla larga le mahare (in dialetto le streghe). Per concludere il racconto di questa indimenticabile esperienza cito un passaggio dell’ode al vino di Pablo Neruda che rende l’idea del fascinoso mondo enologico: “Il vino muove la primavera, cresce come una pianta di allegria, cadono muri, rocce, si chiudono gli abissi, nasce il canto”.