di Stefano Sarasso
Parlare di Vittorio Graziano vuol dire raccontare almeno 50 anni di storia del vino italiano, un’esperienza fisica, diretta, quotidiana della viticoltura che in questi luoghi si incarna in un vitigno e vino chiamato Lambrusco.
Tutto nasce alla fine degli anni ’70, a Castelvetro di Modena nel bucolico paesaggio delle colline che anticipano l’Appennino modenese. A pochi chilometri c’è la Pianura Padana, l’enorme spazio in cui nella seconda metà del’900 la viticoltura si è trasferita assumendo una nuova dimensione industriale. Nelle colline del Modenese questo ha portato alla perdita di un modello agricolo, sicuramente duro, ma che garantiva autosostentamento e senso di appartenenza alle piccole comunità.
La storia del Lambrusco modenese afferisce pienamente a questo ciclo produttivo che alla vendemmia riservava tempi tardivi, forzati da altre necessità agricole.
Vittorio Graziano racconta come da qui partiva la magia del Lambrusco artigianale, la fermentazione naturale; di come da queste parti fino agli anni’70 fosse normale bere vino frizzante fermentato in bottiglia anche perché questo processo permetteva la conservazione del vino. Con i primi freddi la fermentazione si arrestava lasciando in dote una riserva zuccherina per poi ripartire dopo alcuni mesi. Il vino maturava per tutto l’inverno e veniva imbottigliato a inizio primavera, in modo che si decantasse da tartrati e fecce e risultasse più fine.
La prima vendemmia di Vittorio Graziano si è svolta nel 1982, puntando subito dritto verso la tradizione, rinunciando all’autoclave, rifiutando la Doc, i cui parametri organolettici costringevano a fare un vino incompatibile con quello fermentato in bottiglia e non filtrato. Una viticoltura di piccole dimensioni, circa cinque ettari in cui spiccano preziosi ceppi di Lambrusco di Grasparossa, Malbo gentile, Trebbiano e alcune varietà autoctone a bacca bianca quasi estinte. E quando è scoppiata la moda del vino naturale Vittorio Graziano si è ritrovato ad essere un’icona di riferimento per tutti, dato che fin dall’inizio ha avuto ben chiara l’idea di non alterare la naturale fertilità della terra e di mantenerla senza utilizzare prodotti di sintesi, e poi “se il vino è trattato chimicamente la fermentazione non riparte!”.
Meritano un assaggio almeno una volta nella vita il Fontana dei Boschi, vero apice gustativo del Lambrusco modenese e non solo, e il Ripa di Sopravento, da Trebbiano locale e altre mystery grapes. Entrambi vini frizzanti per “rifermentazione spontanea’’ ovvero il “metodo modenese’’ che esalta l’espressione energica del Lambrusco senza mai sconfinare nella rusticità e scioglie la consistenza delle uve bianche del territorio in una beva succulenta e piacevolissima. Autentici riferimenti qualitativi nella più vasta categoria dei cosiddetti Pétillants Naturels. Commovente l’abbinamento con i ciccioli montanari e il Parmigiano Reggiano di bianca modenese anche se questi vini sono ormai richiestissimi dai migliori ristoranti della cucina regionale e nazionale.