Di Francesca Zaccarelli
Il nostro racconto del legame profondo tra donne e vino prosegue questo mese in Sicilia, alla scoperta di Vittoria Colonna: la donna che fondò la città che ancora porta il suo nome e che oggi si presenta come una delle più interessanti DOCG dell’isola.
Antonino Buttitta nel volume “Sicilia. L’isola del vino” riportava che «estremamente esigue sono le notizie sulla produzione e il commercio del vino nella Sicilia del sec. XVIII», fatta eccezione per Vittoria – cittadina del ragusano.
L’area – l’antica Kamarina – fu da sempre teatro enoico: una piccola lamina di piombo arrotolata, la Plaga Mesopotamium, rinvenuta in questi luoghi e databile al III sec. AC riporta la compravendita di un vigneto, e numerose sono le anfore trovate nel mediterraneo con riferimento alla provenienza da queste zone.
Ma la storia si scriverà solo 1700 anni più tardi, per mano di una donna e della sua straordinaria capacità diplomatica e amministrativa: Vittoria Colonna de Cabrera.
Vittoria, nata a Marino nel 1558, sposò Enriquez de Cabrera- divenendo così contessa consorte e reggente di Modica e duchessa di Medina de Rioseco. Quando nel 1600 resta vedova, Vittoria eredita non solo la Contea Siciliana, ma soprattutto i problemi che da decenni l’avevano impoverita – insieme agli ingenti debiti del marito.
Con arguzia, Vittoria capisce che l’unico modo per salvare quelle terre e il suo destino era far fiorire nuovamente quella campagna che in antichità era stata tanto prodigiosa proprio per la sua viticoltura. Chiese così al monarca spagnolo la concessione di un privilegio regio per la fondazione di un nuovo insediamento e nel 1607 vedrà la luce la città di Vittoria, comunità nata per produrre vino, così come esplicitamente riportato nell’atto fondante: la dichiarazione de “Grazie e Franchigie” stabiliva che fosse data una salma di terra (circa 3 ettari), al prezzo annuo di quattro tumoli di frumento (cioè 53 kg). Una concessione generosa che fu una formidabile attrazione per tanti coloni provenienti da decine di altri paesi e città. L’altro felice obbligo fu quello secondo cui ogni colono che fosse “capo di casa” dovesse piantare una vigna, avendo in dono un ettaro di terreno per tale scopo. La vigna doveva essere gestita seguendo regole precise: i viticoltori dovevano ben ripulire e sistemare il terreno, piantando le viti secondo l’antico sistema latino “a quincunce”, con 1000 piante su 2.188 mq- per garantire qualità e quantità adeguate. Il successo fu immediato, producendo un ottimo vino rosso da frappato e nero d’avola – già riconosciuto come pregiatissimo negli anni Settanta del Settecento, come riportato da Domenico Sestini (fiorentino, che di vino ne capiva e che era segretario del Principe di Biscari).
Per quasi tre secoli, Vittoria onorò la sua vocazione originaria, arrivando a 12.000 ettari vitati. Tuttavia, a fine Ottocento, l’infezione fillosserica e i difficili rapporti commerciali con la Francia fecero crollare la comunità vitivinicola, che presto venne soppiantata dalla coltivazione di pomodoro e di altri ortaggi. Solo un secolo più tardi, una nuova presa di coscienza farà rivivere il sogno enoico di questi luoghi- con la creazione nel 2005 del Consorzio del Cerasuolo di Vittoria DOCG e del Vittoria DOC, ove come da tradizione i vitigni protagonisti sono il Frappato e il Nero d’Avola. Una storia a lieto fine, che ha ancora molto da scrivere: a Vittoria, il vino è donna, terra e visione. Un’eredità secolare che oggi torna a brillare, nel riflesso rosso vivace che riempie i calici di profumi, storia e promesse.