di Stefano Sarasso
I grandi grovigli di vite indigena avevano sicuramente impressionato i primi visitatori del Nord America di qualsiasi provenienza. Questa strana vite selvatica forniva uva in gran quantità ma il vino che se ne otteneva non era gradito da nessuno. Nel Seicento e nel Settecento si tentò quindi di importare la vite europea confidando sul fatto che il grano e quasi tutte le altre piante anche in queste nuove lande crescevano benissimo. L’illusione durò poco perché nonostante gli sforzi compiuti da molti, si finì per concludere che il clima della costa orientale e la presenza di troppi insetti nocivi non consentiva la crescita della vite europea. La mancanza di vino (salvo i costosi vini importati) spinse inevitabilmente gli americani a quello che Thomas Jefferson definì il ‘’flagello del Whiskey’’. Nel 1791 una legge impose una tassa di consumo sui liquori ma esentava i vini prodotti in America e molti videro in questo provvedimento l’occasione per dare nuovo impulso ad un uso migliore delle viti americane i cui vini fino a quel momento erano godibili solo se mischiati al brandy. L’effetto più clamoroso di questa nuova fase di sperimentazione fu la nascita della prima storica area vinicola americana, quella dell’Ohio. Il merito di questo nuovo corso è attribuibile all’uva Catawba (chetòba), un vitigno ibrido, frutto di un incrocio spontaneo tra la vitis labrusca (vite americana) e il bordolese vitigno Semillon. Il Catawba divenne presto un vino di grande successo che portava il nome di un fiume della Carolina del Nord, mentre il nome di chi lo rese cosi famoso era quello del banchiere Nicholas Longworth, che divenne il primo produttore vinicolo su grande scala nella storia dell’America.
I viticoltori dell’epoca apprezzavano l’uva Catawba perché a differenza di molti ibridi, presentava un sapore ‘’foxy’’ meno pronunciato tanto da essere descritta come un’uva amabilmente profumata e dalla originale tonalità viola-lilla. Nel 1825 Longworth con questa uva nativa produsse anche il primo vino spumante d’America e non tardarono gli apprezzamenti anche da Londra, Parigi e Berlino, mentre nel 1859 Cincinnati divenne la prima vera capitale del vino americano con una produzione che doppiava quella californiana, ma non per molto. Le crittogame parassite attaccarono i vigneti e ne fecero scempio e poco più tardi scoppiò anche la guerra civile. Questi eventi determinarono la successiva scomparsa del vitigno.
Recenti studi hanno tuttavia rivelato che la presunta fragilità mostrata da questa uva dipendeva in realtà da un errato sistema di allevamento praticato dagli immigrati tedeschi. Le viti difatti erano monocoltivate e piantate ‘’alla renana’’ ovvero troppo vicine l’una all’altra e ciò le rendeva particolarmente suscettibili a malattie fungine come il marciume nero (black rot). Oggi molti viticoltori sono convinti che se coltivato in modo policolturale e più distanziato, il vitigno dell’Ohio può rappresentare un potenziale antidoto alle frequenti irrorazioni. “Le varietà labrusca sono meraviglie della biologia”, afferma Phil Plummer, enologo presso la Montezuma Winery a New York. ‘’Se riesci a sviluppare un ibrido, ci ritrovi alcune delle caratteristiche del sapore e dell’aroma di una Vitis vinifera, con un po’ della robustezza e della resistenza alle malattie delle uve selvatiche che crescono qui intorno”. Le uve ibride, che tendono a richiedere meno input chimici, possono quindi anche migliorare le condizioni di salute dei lavoratori. Sono diverse ormai le aziende vinicole della East Coast che hanno riproposto il vino Catawba nella loro produzione dove continua ad offrire il meglio di sé nelle versioni spumantizzate anche se più dry che sweet rispetto al passato. A detta di molti è ritenuto anche un perfetto cross over wine per gli amanti delle birre di ultima generazione.