Le bevande alcoliche e i sigari – Prima Parte

29 Mag 2020 | Stampa

di Ivano Menicucci 

Si diffonde a macchia d’olio l’interesse per i sigari e per il loro abbinamento con le bevande, alcoliche o meno. Un chiaro segnale viene dai banchetti nuziali, dove sempre più spesso compare l’angolino dei sigari con i distillati a disposizione degli invitati. Qualche anno fa, quando era solo una semplice moda e la maggior parte degli utenti impreparata, il tavolino era sovente improvvisato, con sigari di basso livello e distillati commerciali. Ma oggi sempre più frequentemente gli organizzatori dei banchetti si affidano a esperti del settore, che allestiscono questi angolini fumosi con sigari di rilievo e distillati di qualità. Un Catador, il maestro conoscitore del sigaro, e un Sommelier saranno ben lieti di fornire qualche informazione in più agli ospiti, più coscienti e preparati rispetto a qualche anno fa.

Uno degli abbinamenti più conosciuti è proprio quello con i distillati, ma nel corso di questo articolo scopriremo che si possono inventare altri accostamenti decisamente appaganti e articolati. A questo proposito, capita spesso di sentire per esempio “ho provato un sigaro con lo Champagne e non mi è piaciuto”, catalogando tout court questa unione come impossibile e proiettando questo atteggiamento negativo anche su altre bevande che non siano i distillati. Non ci si pensa, ma esattamente come avviene nell’abbinamento cibo-vino, nominato fin dai primi livelli dei corsi di Sommelier e al quale si dedica l’intero terzo livello, anche l’accostamento del sigaro con le bevande deve essere ponderato e valutato, affinché dall’unione emergano sensazioni soddisfacenti e con un arricchimento reciproco. In questo caso le regole sono forse meno codificate rispetto a quelle cibo-vino ma sicuramente esistono e per un abbinamento piacevole è bene tenerle a mente. Come Sommelier, partiamo dal presupposto che le bevande alcoliche siano ben note e che forse qualche parola in più è opportuno spenderla sui sigari, cercando di non annoiare i più esperti. Magari non partiamo proprio dai primordi, circa 7.000 anni fa, periodo al quale si fanno risalire i primi ritrovamenti di tabacco nel sud America. Apparteneva molto probabilmente alla varietà Nicotiana Rustica, ricca di nicotina, aggressiva e impegnativa da fumare. Facciamo dunque un salto in avanti fino all’impero Maya, dove i sacerdoti, e solo loro, fumavano cilindri di tabacco. Riconducibile anch’esso alla Nicotiana Rustica, veniva praticamente solo essiccato per cui manteneva un elevato contenuto di nicotina e di altre sostanze alcaloidi e psicotrope, provocando una sensazione di stordimento e propiziando il contatto con le divinità. Il fumo di questi antenati del sigaro saliva al cielo, come se fosse un omaggio agli esseri superiori. Un omaggio gradito peraltro, perché secondo le credenze Maya anche gli Dei fumavano e le nuvole ne erano una chiara dimostrazione, così come le stelle cadenti, le quali altro non erano che le faville sprigionate durante la fumata divina. Facciamo ancora un salto in avanti al periodo attuale, saltando a piè pari i tempi bui in cui il tabacco è stato osteggiato in tutti i modi, alle terribili punizioni somministrate a chi veniva sorpreso a fumare e ai pesanti dazi che hanno alimentato il contrabbando.
Parliamo direttamente di questa pianta importata dal Nuovo Mondo, che prende il nome di Nicotiana Tabacum, con meno nicotina rispetto alla Rustica. Essa appartiene alle solanacee così come i pomodori, le melanzane e i peperoni per citarne qualcuna molto diffusa sulle nostre tavole, ma anche alla Mandragola e allo Stramonio, per nominarne altre dalla fama più sinistra. A differenza delle altre solanacee però, il tabacco richiede, per l’uso al quale è destinato, un ambiente pedoclimatico ben definito per esprimersi ad alti livelli. Ecco dunque perché non viene coltivato ovunque. In Italia troviamo importanti piantagioni in Veneto, in Umbria, in Campania e in poche altre regioni. Se ci spostiamo nei Caraibi, ecco paesi come Cuba, ma anche la Repubblica Dominicana e il Nicaragua tra i principali.

Ma come si produce il tabacco e in che modo il processo produttivo influisce sulla qualità finale e sulle caratteristiche organolettiche?
A differenza dei pomodori e delle petunie, dei quali siamo interessati al frutto e al fiore rispettivamente, il valore merceologico del tabacco si concentra nelle foglie. Ogni pianta ne conta da 20 a 35 circa, con dimensioni diverse a seconda della varietà. A seconda del piano fogliare, ovvero dell’altezza della foglia dal suolo, varia la sua composizione. Le foglie in alto sono maggiormente esposte al sole per cui sono più spesse e contengono cere, gomme e oli essenziali, una sorta di crema solare protettiva che dona a queste foglie sostanza e “sapore”. Sono povere di minerali però e quindi la loro combustibilità non è eccezionale. Le foglie dei piani più bassi sono invece ricche di minerali e molto combustibili, ma povere di oli essenziali e resine. Le foglie mediane hanno, come potremmo aspettarci, caratteristiche intermedie. E i nostri amici cubani hanno dato un nome alle foglie dei diversi piani fogliari: volado, seco e ligero, dal basso verso l’alto. (Foto 1)

E malgrado l’assonanza fonetica, il ligero è tutt’altro che leggero. Le foglie più alte sono le più ricche di Nicotina, l’alcaloide sintetizzato nelle radici che viene poi trasportato e rilasciato in gran misura nella parte superiore della pianta per difenderla dagli attacchi esterni.

Ecco allora che in base alle differenti caratteristiche di sapore e combustibilità delle diverse foglie possiamo comprendere meglio la composizione e la struttura di un sigaro cubano.

 Il primo sigaro, realizzato con tabacco cubano, in realtà è stato inventato a Siviglia nel 1731 e da allora la sua struttura è rimasta invariata. Anche se poi si è scoperto che se veniva realizzato direttamente a Cuba era in effetti più buono! La sua composizione si basa su un mix delle foglie provenienti dai tre piani fogliari, anche di diverse piantagioni o paesi e sapientemente miscelate dal Master Blender. Questi è un personaggio chiave della manifattura, l’equivalente dello Chef de cave della cantina, colui che conosce tutti i tabacchi disponibili e crea la ligada, ovvero la miscela delle foglie necessarie per realizzare un sigaro caratterizzato da sapore, buona combustibilità e con un determinato carattere.

Nella prossima puntata vedremo insieme  il processo di preparazione delle foglie, focalizzando l’attenzione, come già accennato, sui paesi caraibici.

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