Quando s’incontra Pierpaolo Rapuzzi, titolare della Cantina Ronchi di Cialla, ti aspetti di trovarti di fronte, come per uno stereotipo, al tipico friulano severo, poco loquace e operoso. Presto vieni sorpreso dalla sua disponibilità, l’entusiasmo e la voglia di raccontare il suo vino come fosse la Storia intima e personale della sua famiglia. Di fatto è proprio così. I tralci dello Schioppettino di Prepotto si intrecciano con le vicende avventurose della famiglia Rapuzzi che nel ’70, in uno slancio pioneristico non senza incognite, acquisirono una proprietà ormai in stato di abbandono ai margini del bosco di larici e faggi vicino ai confini bellici, proprio lì dove il comando tedesco aveva un avamposto per controllare la collina.
Una proprietà con caseggiato di circa 2 ettari e altri appezzamenti dislocati in varie parti della collina, con esposizioni e terreni diversi, immersi in una natura incontaminata, dove l’ombreggiare degli alberi crea il microclima adatto per esaltare le note distinte dei vini prodotti. “ Roncs” in friulano identifica proprio quei terrazzamenti tortuosi costruiti a mano dagli uomini per domare quelle colline altrimenti incolte, strappate con fatica alla Natura con visionaria lungimiranza.
Sulla collina di Cialla lo Schioppettino, antico vitigno autoctono, condannato all’estinzione dalla fillossera nel dopoguerra, ha ritrovato il suo terroir. Proibita la sua coltivazione, si poteva finire in galera. Ancor più grave sarebbe stato il bando per anni del terreno per la coltivazione di altre viti. Una vera tragedia per chi viveva dei prodotti di quei campi. L’idea ardita dei Rapuzzi di coltivare le viti autoctone, fino ad allora espiantate in favore dei vitigni internazionali, è stato un moto d’orgoglio friulano, una reazione al bovarismo imperante tra le persone che vivevano al Confine. Pierpaolo Rapuzzi racconta con piglio epico quelle vicende: “La prima cosa che facemmo è stata quella di recarci in Regione a cercare di capire cosa si potesse fare per recuperare questa varietà. L’assessore di allora, in modo laconico, ci rispose che non c’era nulla da fare e che se si aveva intenzione di coltivarlo il destino era solo la galera. Non contenti della risposta, i miei genitori andarono dal sindaco di Prepotto, raccolsero le viti superstiti (ne rimanevano solo 60-70 piante nel territorio di Cialla, Albana e Prepotto) e da queste in due anni riuscirono a produrre 3500 nuove piante con l’aiuto “connivente” di pochi contadini e del Sindaco. Gli innesti furono realizzati dai vivai di Rauscedo che li certificarono come Refosco, pena la mancata certificazione perché “varietà non autorizzate”. L’ impianto abusivo di Schioppettino potè uscire dall’omertà per il fortunoso incontro con la famiglia Nonino che, in controtendenza rispetto al mercato di riferimento, volle sperimentare la produzione di grappa da vigneti autoctoni, trasformando un semplice prodotto “ per riscaldarsi” in un distillato di nicchia. I Nonino istituirono per tale motivo il Premio Nonino Risit d’Aur. Nel 1976 i Rapuzzi lavoravano sul recupero delle varietà abbandonate insieme a Calò, i consigli di Giacomo Tachis e altri personaggi. Venne loro assegnato il primo Premio proprio per il recupero dello Schioppettino. La svolta avvenne quasi per caso. Presenti a questo premio c’erano diversi personaggi del Ministero dell’Agricoltura, del nostro Assessorato e molti giornalisti che scrissero della famiglia Nonino e dello Schioppettino. Cosi nel 1977 la coltivazione del vitigno venne finalmente autorizzata. Poi nel 1989 venne inserito nella Doc dei Colli Orientali del Friuli e nel caso dei Rapuzzi dal 1995 entrò nella sottozona Cialla.
Lo Schioppettino
La masticazione di un acino di uva Schioppettino durante la maturazione emette il caratteristico rumore, come uno schioppo, per le elevate dimensioni dell’uva. Da qui prende la denominazione evocativa. E’ un vitigno che predilige le zone fresche, più basse, vicine ai corsi d’acqua e ai boschi dove riesce ad avere una maturazione più lunga e le foglie in autunno diventano gialle come fosse un vitigno a bacca bianca. Il vino che viene prodotto con queste uve è da lunghissimo invecchiamento e non richiede concentrazioni di alcun tipo. Le uve per essere vinificate devono essere assolutamente fresche. Risaltano le note speziate di pepe quando viene coltivato in zone particolarmente fresche e se vogliamo anche un po’ ombreggiate. La freschezza del vino pervade il palato, il tannino è di medio peso e mai invadente, l’acidità lo rende vivo di colore anche in annate più lontane quando assume note balsamiche. La sapidità, che richiama la vicinanza territoriale con la Slovenia e il ritorno speziato, ne fanno un vino mai opulento, sempre misurato, di grande charme. Ci vuole una cantina molto rigorosa per vini longevi anche più di 40 anni. La fermentazione avviene in acciaio ma lo Schioppettino di Cialla in purezza è stato uno dei primi rossi italiani a essere elevato in barrique già nel ’77, certificato con atto notarile dal 1978: 12,5%i n volume da servire tra 16-18 gradi in abbinamento a primi di terra, pollame e formaggi stagionati. Ha il pregio di farsi bere volentieri sia fresco che dopo molti anni. L’ultimo vino in vendita è del 2012, un vino di 6 anni, ma la cantina ha una profondità che permette di tornare indietro anche fino al ’77.Il lavoro che è stato fatto sin dalla prima vendemmia è quello di non vendere tutto il vino ma di conservarne diverse bottiglie per poi metterle in commercio negli anni successivi. Uno stock di vino pronto per essere venduto. Anche le vendemmie ’92 e ’14, considerate non all’altezza perché molto piovose, in realtà hanno prodotto vini molto fini. Il ‘ 15 promette un vino di grandissima levatura.
Ronchi di Cialla produce anche un ottimo Refosco (più rustico e meno elegante dello Schioppettino); un Ciallabianco (60% Ribolla Gialla, 30% Picolit e 10% Verduzzo friulano), ottimo con antipasti, pesce e vellutate; infine una produzione limitatissima di vino da meditazione, il Picolit, realizzato solo per metà con uve passite.
Ronchi di Cialla, da ormai 3-4 anni, si trova stabilmente, a buon ragione, nel catalogo di Sagna tra i vini di altissimo livello. Non più vini friulani prodotti da vitigni internazionali ma da vitigni di varietà tradizionali friulane. Tutti i vini prodotti, pur avendo specifiche varietali e toni diversi in base allo specifico appezzamento di terreno a cui appartengono, hanno un comun denominatore che ne contraddistinguono il tratto :l’equilibrio. L’inaspettato equilibrio di questi vini, nati dal proibito, si traducono in una seducente carezza per il palato.