Tea time. L’ora della viticoltura sostenibile

28 Apr 2025 | News, newsletter

di Paolo Tamagnini

Ad ottobre dello scorso anno l’Università di Verona ha dato la notizia dell’inaugurazione del primo vigneto sperimentale in Europa ottenuto con le Tecniche di evoluzione assistita (Tea), con lo scopo di produrre viti più resistenti agli agenti patogeni.
Facciamo subito chiarezza: le Tea sono tecniche di manipolazione genetica, ma non hanno nulla a che fare con i noti Ogm, ovvero non è previsto un intervento estraneo e pertanto non implicano l’inserimento di Dna alieno alla pianta, permettendo di riprodurre in maniera precisa i meccanismi alla base della naturale evoluzione biologica della vite attraverso il genoma editing (intervento su sezioni individuate del DNA).

Siamo agli albori di una sperimentazione agricola che tende a verificare se lo sviluppo, la crescita e la produzione della pianta rimangono normali, con lo scopo di ricorrere a un minore utilizzo di prodotti fitosanitari.
Di recente è arrivato anche il riconoscimento del ruolo delle Tea da parte del Parlamento europeo, a certificare un percorso già avviato, in un’ottica di gestione delle colture libera dalla chimica e capace di proteggere il patrimonio di biodiversità.
Per il prof. Attilio Scienza è un’ottima notizia, soprattutto per verificare sul campo l’adattamento della vite alle condizioni climatiche, la risposta alle malattie, ma soprattutto se le caratteristiche produttive siano effettivamente simili a quelle della pianta originale, con conseguenze da testare sulla qualità organolettica del vino. Occorre ricordare che la viticoltura, nonostante copra non più del 2% della superficie agricola europea, utilizzi circa il 40% dei fungicidi e negli ultimi anni la peronospora rappresenta la principale causa del calo produttivo italiano nella vendemmia. Anche nel corso del recente Vinitaly si è discusso di Tea, con una raccomandazione particolare alla sostenibilità economica e alle conseguenti ricadute sul sistema agricolo.

Da non confondere, ma derivanti da approcci genetici complementari alle Tea sono i Piwi, ovvero i vitigni resistenti, varietà ottenute tramite l’incrocio naturale da un genitore nobile ed un genitore donatore di polline resistente. In questo caso la ricerca e la sperimentazione sono molto più avanzate; in Italia le varietà Piwi, resistenti alle malattie fungine iscritte al Registro Nazionale Italiano sono già quasi una quarantina, sono già ammesse in dieci regioni (tra le quali anche il Lazio) e l’andamento degli innesti è crescente: 250 sono i produttori e 450 i vini ottenuti. Il CREA quantifica in circa lo 0,5% la viticoltura PIWI italiana pari a circa 3.600 ettari. In attesa che in Italia questi vitigni vengano inseriti in qualche disciplinare di produzione, i francesi hanno inserito le varietà resistenti in due delle loro denominazioni principali: Bordeaux e Champagne (rispettivamente al 10% e 5%). Purtroppo, mentre il cambiamento colturale è in atto, bisogna ancora attendere per quello culturale: appena due mesi fa lo stesso vigneto sperimentale di San Floriano in Valpolicella, ottenuto con le Tea, è stato vandalizzato da ignoti che hanno danneggiato le barbatelle messe a dimora.

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