Di Salvatore Stanco
Se la vite ha radici profonde, quelle del Kallmet affondano nella pietra e nella polvere dei Balcani, tra rovine illiriche e cicatrici lasciate dall’impero ottomano. In Albania, terra che in pochi associano al vino ma che da millenni lo produce, il Kallmet si incontra come un vecchio poeta: un po’ ruvido, ma con dentro un mondo.
Questo rosso tradizionale cresce soprattutto nella regione di Zadrima, a nord, tra Lezhë e Shkodër, in mezzo a pianure carsiche e brezze adriatiche. È lì che il Kallmet assume una voce unica: fragrante, speziata, profonda.
Con le dovute precauzioni, può ricordare un Sangiovese di Romagna con l’anima di un Pinot Nero. Un vino che non urla, ma sussurra. E se si ha voglia di ascoltare, ha molto da raccontare. Alcuni esperti lo avvicinano alla Kadarka, altro vitigno errante dell’Europa centrale, un tempo diffuso in Ungheria, Serbia, Romania. Come certe canzoni popolari, la Kadarka ha viaggiato lungo i confini dell’impero ottomano. Una rivista tedesca specializzata in viticoltura balcanica ha smitizzato parentele genetiche tra i due: similitudini aromatiche, radici condivise, quella stessa eleganza rustica che li rende perfetti per la tavola, ma senza vezzi da diva non sono bastate a sostenere tesi di comunanza.
Il Kallmet è un vino di frontiera. Non cerca l’opulenza, né la vaniglia da manuale. Ha il naso di ciliegia nera, un tocco di origano selvatico, una spruzzata di pepe nero e una nota ferrosa – ematica, quasi – che sa di terra, sangue e storia. Non stupisce che sia spesso servito con l’agnello, le interiora, o il classico byrek di carne e cipolla.
Il presente, e soprattutto il futuro del Kallmet, è nelle mani di una generazione nuova di vignaioli. Giovani enologi tornati in Albania dopo esperienze in Italia, lavorano in piccolo, alcuni usando persino fermentazioni spontanee. A Zadrima, microcosmo rurale che profuma di rinascita, si respira una consapevolezza nuova: non servono imitazioni. Il Kallmet non deve farsi francese. Deve solo essere sé stesso.
Il Kallmet è la rivincita silenziosa di un territorio che ha molto da dire, ma ancora poche parole con cui farsi ascoltare. Ma il vino, si sa, parla prima della lingua. E questo rosso balcanico oggi sussurra storie di pastori, anarchia e libertà.
Guai a chiamarlo vino minore. Nel calice, il Kallmet non chiede permesso. Ha una dignità antica, una struttura che sorprende – soprattutto nelle versioni da vecchie vigne, vinificate in legno grande – e una bevibilità che costringe a ripensare i soliti pregiudizi enoici. Altro che “vino albanese” detto con un mezzo sorriso. Questo è un rosso che può mettere d’accordo il sommelier, il poeta e l’anarchico.
Il Kallmet ha una struttura snella ma intensa, perfetta per i piatti dove il sapore è protagonista come lasagne al ragù, coniglio alla cacciatora, sasicc’ e friarielli o un pecorino di Carmasciano, abbinamenti dove il carattere rustico del vitigno si esalta.