di Francesca Zaccarelli
La leggenda narra che Saturno, fuggendo dalla persecuzione del figlio Giove, si rifugiò sui Colli Albani e precisamente chiese asilo al popolo nell’antica Tusculum. In cambio dell´aiuto piantò per loro la prima vite. Gli Etruschi prima e i Romani poi amavano e producevano il vino” Tuscolano”, l’antenato del Frascati. Tra le zone più vocate spiccavano gli antichi pendii da colate laviche comprese tra i territori di Monte Porzio Catone, Grottaferrata, Frascati e Montecompatri. Cicerone scelse questi luoghi per la sua villa privata e Catone nel 200 d.C. decantava i filari tuscolani “[…] della vite mi piace non soltanto la sua utilità, … ma anche la coltivazione e la natura stessa”. Dal medioevo al Rinascimento, la zona dell´agro-tuscolano divenne polo enologico per eccellenza, costellato da oltre mille osterie che offrivano il buon vino a nobili, viaggiatori, pellegrini – e di nuovo meta per ville e fortificazioni papali e nobiliari, come ai tempi dell´Impero, dando al luogo il toponimo di “Castelli Romani”.
L´eccellenza si tramandò fino alle grandi guerre, facendo della produzione di vino l’attività più importante del territorio. Nel ‘900 il Frascati perde la sua fama: il suo essere conviviale viene travisato per banalità, facendone calare il valore, nonostante la nascita del primo Consorzio nel 1949 e della DOC già nel 1966- a riprova del suo significato per il Lazio e l´Italia. I vitigni autoctoni tipici di questi luoghi– malvasia puntinata e di candia, bombino, trebbiano e bellone- vengono sacrificati per fare spazio alle cultivar internazionali, preferite dal mercato. Restano per lo più produzioni di massa che non curano la qualità e l´uso eccessivo dell´enologia “chimica” appiattisce tutti i caratteri varietali delle preziose uve utilizzate.
Occorreranno anni per riabilitare la produzione vitivinicola tuscolana, complici anche le nuove generazioni di produttori, la riscoperta di una tradizione antica e importanti investimenti in vigna come in cantina. Gli sforzi ripagano: nel 2011 alla DOC si affianca la DOCG Frascati Superiore. E archiviate le vicissitudini sfortunate, il “Frascati” diventa quasi un brand, pronto non solo per il mercato italiano ma anche internazionale. Ad oggi, si superano i 900 ettari vitati e una produzione annua, tra le varie tipologie di Doc e Docg, che oscilla tra i 65-70mila ettolitri per quasi 8 milioni di bottiglie, di cui il 30% viene venduta all´estero (ripartita tra Canada, Stati Uniti, Francia, Germania, Belgio, Paesi Scandinavi e prima del Covid anche in Asia). Un comparto vitivinicolo di peso con un giro d’affari di 15 milioni di euro e che coinvolge 120 produttori.
Le aziende storiche si uniscono a quelle più giovani, e ognuna scopre nell´altra qualcosa di nuovo e di antico. La straordinaria diversità pedo-climatica permette diverse interpretazioni degli stessi vitigni, riproponendo nel vino un´immagine vivida ed emozionante di questi luoghi, che interessa il palato estero.
Il Frascati diventa volano per tutto il territorio: si riscoprono altri vitigni autoctoni, si crea una narrativa che racconta di una terra unica al mondo, e le aziende agricole si trasformano in strutture attrezzate per un nuovo e consapevole enoturismo, spesso straniero.
Una nuova opportunità per il Frascati come vino e come realtà che, grazie all´impegno di produttori, associazioni e istituzioni, sta conoscendo un nuovo Rinascimento.