Un viaggio di Elena Della Rosa
Una terra di confine dove il confine è mobile, evanescente, immaginario. Una regione posta all’estremità orientale della nostra cartina e dei nostri pensieri, il Friuli. Ci sei mai stato? Ci sei mai stato in questo paese battuto dal vento, all’incontro tra terra e mare dove il mare sembra essere messo lì apposta per riempire l’aria di sale e iodio e non per andarci a nuotare. Le pianure che si aprono e vanno avanti per chilometri senza che l’occhio trovi riposo tra distese di mais e un orizzonte lontanissimo; i colli dolci e boschivi dove la natura più selvaggia sposa la coltura addomesticata della vite in un matrimonio che appare essere felice.
E poi la montagna, come il proseguimento del carattere di chi abita da queste parti, il retroscena di una convivialità che a tratti si percepisce sofferta. A distanza di un secolo sembra di sentire ancora nelle valli l’eco della guerra, nell’aria la parola “attesa” e “ritorno”.
Accenti differenti, italiano, sloveno, austriaco racchiusi in un’unica persona. Il Friuli sembra un’invenzione di Pirandello: uno, nessuno, centomila.
Non puoi attraversare la regione illeso nello spirito e forse anche nel corpo, visto i fiumi di vino che scorrono nei calici e la cucina locale gustosa, ricca, calorica e decisamente pesante per i caldi mesi estivi: io non ho fatto eccezione a questa regola e sono tornata a casa cambiata e sicuramente con qualche chilo in più! Come rinunciare al Frico, fatto di patate, cipolla e Montasio abbinato a un bicchiere di Friulano – che qui chiamano ancora nostalgicamente Tocai – o le lumache in umido con un buon calice di Merlot con la “t” rigorosamente pronunciata?
Ogni viaggio è un incontro con l’altro e con sé stessi. È stato il vino, che col viaggio condivide questa natura, a fare da conducente in questo percorso tra paesi: il filo d’Arianna in un dedalo infinito di strade e di nomi. Devi tenere sempre a portata di mano la bussola, l’orologio e le tue convinzioni perché qui è molto facile perdersi.
Sono arrivata a Cormons con l’idea di fermarmi una notte, notti che sono diventate due, tre, quattro… Ho pernottato vicino alla vecchia sede della facoltà di enologia, a Villa Felcaro.
Cormons sembra il cuore del Friuli: tutto è a 15 minuti di strada e ci arrivi per vie che paiono arterie, vene e capillari di un grande corpo disteso. L’impressione è di essere all’interno di un organo pulsante e silenzioso.
Quando dicono che per conoscere i vini devi conoscere il territorio è vero.
Prima di mettermi in viaggio avevo prenotato una visita al Consorzio dei Colli Orientali. Efficientissimi. Mi rispondono subito confermandomi la data, chi mi scrive è un certo Matteo Bellotto.
Ma vuoi vedere, mi dico, che è lo stesso Matteo Bellotto che ha scritto “Storie di Vino e di Friuli Venezia Giulia”? Un libro denso e poetico che consiglio agli appassionati di vino, ma non solo.
Ed è proprio lui ad accogliermi in P.zza XXVII maggio, 11 a Corno di Rosazzo.
È stato così affascinante ascoltare i racconti del territorio, assaggiare i vini in quella sede organizzatissima e accogliente in cui si avvicendavano vignaioli, ristoratori e amici. Mi sono fermata lì e senza accorgermene sono passate più di tre ore: già, non mi hanno cacciata!
“Quanto è inutile un confine quando ci vivi vicino. Eravamo il sud di un impero e ora siamo il nord di una nazione” dice Matteo.
Un mosaico di tessere tenute insieme dal collante del vino: “figli della terra più che dei nostri genitori”.
Mi colpisce quando inizia a parlare del silenzio, quel silenzio frastornante che avevo sentito appena scesa dalla macchina pochi giorni prima. Mi dice che il vino ne è il traduttore.
Che bella immagine, penso.
Sono molti gli assaggi che facciamo insieme, mentre mi spiega che terra e vento sono il papà e la mamma della vite e la proteggono dalla piovosità del posto impedendole di creare marciume.
Difficile riportare tutti i vini assaggiati, mi viene da citare Bruna Flaibani e i suoi 2 ettari coltivati in regime biodinamico. Il Friuli è la patria degli “alchimisti” del vino.
Sull’assaggio di una malvasia istriana Matteo mette su i Pink Floyd. L’esperienza del vino è sinestetica e al consorzio sembrano averlo capito bene.
A unire tutti questi vini, alcuni molto diversi tra loro come stile, è forse il sale. O così mi è parso. Vini che, come i friulani, “le cose te le dicono una volta soltanto”.
Il viaggio continua verso il Collio, verso gli “alchimisti delle colline” come li chiama nel suo libro Emilio Rigatti, verso vini iconici, nella terra dei macerati: non chiamateli più Orange Wine perché qui il termine è bandito… Ma ve lo racconterò, se ci sarà la possibilità, un’altra volta.