di Fabrizio Gulini
Dopo decenni trascorsi dietro ai banconi dei barman di tutto il pianeta e rimasto pressoché sconosciuto ai più, rinasce a nuova vita uno dei prodotti più interessanti del mondo dei distillati.
Il Gin o sarebbe più appropriato dire, qualcosa di simile al gin, ha origini antiche e nasce con l’Accademia Salernitana, dove era distillato un fermentato con la presenza nell’alambicco di bacche di ginepro, per ottenerne una bevanda alcolica che potesse conservare le proprietà terapeutiche del ginepro.
La vera paternità del gin, come lo conosciamo oggi, è contesa tra Olanda e Inghilterra. Prima del XVI secolo si trovano molti riferimenti al “jenever” olandese, che di fatto era un prodotto simile a quello della Accademia Salernitana, mentre nel 1714 compare per la prima volta il termine Gin, su un testo dell’inglese Bernard Mandeville, che fornisce una descrizione del prodotto più vicina a quella che conosciamo oggi. Nel 1769 arriva la consacrazione del prodotto inglese, con la fondazione della distilleria Gordon’s.
E l’Italia? Di gin italiano si è iniziato a parlare da una decina d’anni e solo ora sta diventando una corrente stilistica. Tutti ne parlano, tutti lo cercano e ahimè ‘quasi tutti’ lo producono. Ma il gin in Italia non è nato ora per seguire una moda… esiste da secoli, solo che è rimasto nascosto per tutti questi anni nei magazzini o nei ricettari delle varie distillerie. Di gin italiano ne parla Luigi Sala… e siamo nel 1896! Sala ci racconta di un prodotto composto a freddo senza il concorso dell’alambicco, una tecnica produttiva che oggi è conosciuta come Compound gin.
Prima del recente boom il gin era associato, nella mente e nei palati dei consumatori, al London Gin, un prodotto dal disciplinare rigidissimo che non lasciava spazio ad interpretazioni: o si amava o odiava. Il gin era conosciuto come il protagonista del gin tonic o il coprotagonista del negroni, ma se ordinavi un gin tonic, accompagnato dall’immancabile schweppes, non avevi sorprese, il gusto era quello: una base austera supportata da un’effervescenza limonosa e lievemente amaricante.
Il gin di oggi è un prodotto studiato per poter incontrare tutti quei palati insoddisfatti dal rigore dell’English Style, si utilizzano botaniche più gentili, più aromatiche e tecniche produttive meno rigide che regalano prodotti decisamente morbidi, se a questo aggiungiamo la vastissima gamma di toniche che posso essere abbinate a questo distillato, i cocktail che ne derivano con base gin, sono pressoché infiniti.
Diamo uno sguardo alle tecniche produttive e alle materie prime. Gli elementi che non mancano mai sono due: l’alcool di origine agricola, solitamente di cereali per la neutralità del gusto e le bacche di genus juniperus (l’arbusto del ginepro). Le altre spezie o botaniche a contorno e che forniscono le peculiarità di ciascun gin sono a scelta del mastro distillatore e non esistono limitazioni nel numero o nelle specie, se non nel già citato London Gin.
Compound gin: questa tecnica molto antica si basa sulla miscelazione di un alcool neutro con un concentrato di aromi di gin (cold compounding), oppure con essenze di bacche di ginepro, spezie ed erbe aromatiche (compound essence). Questo metodo non prevede la distillazione ed è impiegato per gin di basso costo.
Distilled gin: produce gin di alto livello qualitativo. La distillazione si effettua con un alambicco tradizionale a vapore. Nella caldaia viene posto l’alcool neutro, ridotto a circa il 45% – 60%. Una volta portato ad ebollizione l’alcool, i vapori che si sviluppano si impregnano degli aromi delle bacche e delle erbe aromatiche.
La tecnica dell’aromatizzazione è poco diffusa, ma ancora utilizzata. Può essere fatta per infusione del vapore o macerazione nell’alcol.