di Francesca Zaccarelli
La Tuscia: terra di misteri, popoli lontani e intensa bellezza. Vide la nascita del regno Etrusco, e ne garantì la prosperità fino all’affermarsi dell’impero romano- conservandosi sino a noi quasi immutata. I confini geografici odierni spaziano dall’alta costa tirrenica del Lazio – ove si parla di Maremma Etrusca- fino all’Umbria e alla bassa Toscana. La diversità del territorio – tra laghi vulcanici, monti, faggete centenarie e maestosi calanchi- ha sempre conferito a questo areale una vocazione vitivinicola a tutto tondo, fin dai tempi remoti. L’atavica tradizione enologica della zona, spesso relegata in secondo piano a causa della vicinanza di rinomate produzioni toscane e umbre – ha permesso altresì di conservare antiche varietà, oggi riscoperte, come nel caso dell’aleatico nero. Nonostante l’aleatico sia coltivato in altre zone d’Italia, nella Tuscia rileva una peculiare espressione qualitativa –e in particolare nell’areale attorno al lago di Bolsena, tanto che già nel 1972 venne creata la DOC Aleatico di Gradoli. La storia suggerisce le origini cretesi del vitigno (Liatiko), anche se Pier De Crescenzi (1303) sosteneva si trattasse una varietà etrusco-toscana (associandola alla maremmana Livatica). In epoca moderna, Giorgio Gallesio (1839) la identifica come una derivazione del Moscato. Quest’ultima tesi è forse la più verosimile, visto che ricerche recenti hanno confermato la parentela tra Aleatico Nero, Moscatello Nero e Moscato Bianco, che in comune hanno una spiccata aromaticità terpenica. E sono proprio i profumi intensi e suadenti, unitamente al buon grado zuccherino, che hanno reso l’aleatico una bacca tanto apprezzata – ideale per la produzione di vini passiti e liquorosi, ma anche come rosso secco accattivante. Per il suo carattere così unico- autoctono se vogliamo- venne per un periodo rilegato ad una produzione locale e di nicchia.
Gli ultimi anni hanno rappresentato un’epoca di riscatto per vitigni territoriali come l’aleatico- e per diverse ragioni. Da una parte il cambiamento climatico e la vulnerabilità delle cultivar internazionali, hanno spinto a dover tornare alle varietà originarie, più adattabili e resistenti. Dall’altra, il consumatore – sempre più informato, attento ed esigente- ha sentito il bisogno di uscire da vini troppo tecnici per lasciarsi affascinare da sapori nuovi, seppur antichi. Infine, si è assistito alla riscoperta della Tuscia come luogo da valorizzare- soprattutto ad opera di neofiti nel campo enologico. I nuovi produttori hanno tutti puntato sull’aleatico, offrendo diverse interpretazioni e dimostrandone la straordinaria duttilità. Le nuove declinazioni –in rosato, ora versione naturale, in anfora, dolce ma al contempo vibrante e fragrante- hanno permesso di riabilitare la notorietà dell’aleatico e di avere il coraggio di proporlo sui mercati esteri, complici anche alcuni dei nuovi produttori di altre nazionalità e la presenza sempre maggiore di un turismo straniero e consapevole.
L’aleatico copre oggi 59 ettari nel Lazio (50 solo nel viterbese) e la produzione è nettamente migliorata, grazie a rese più basse e una conoscenza migliore del territorio e del vitigno. Poco più del 20% della produzione raggiunge l’estero, e le possibilità di incremento sono promettenti.