La lunga stagione calda del vino

24 Giu 2024 | News, newsletter

di Paolo Tamagnini

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Nature Reviews Earth & Environment, se la temperatura media globale del pianeta dovesse superare prossimamente la soglia di 2°C, almeno il 70% delle attuali regioni vitivinicole si troverebbe a rischio significativo di perdita di idoneità per la produzione di uva da vino. Questo potrebbe portare alla scomparsa nel medio periodo del 90% di molte aree vinicole nelle zone dell’Italia, California, Spagna, Francia e Grecia.
Il riscaldamento globale ha già portato conseguenze evidenti: nel corso degli ultimi anni, le temperature medie globali sono state superiori di 1,52°C rispetto all’era preindustriale, causando eventi climatici estremi che hanno avuto un impatto significativo sulla produzione di vino, con rese medie annuali notevolmente più basse rispetto agli anni ’60, come certificato dall’OIV che nel suo recente rapporto ha indicato nei 237 milioni di ettolitri vino prodotti nel 2023 la quota minima di produzione degli ultimi sessanta anni (in Italia il valore più basso dal 1950).
Nonostante le recenti politiche di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, esse sono aumentate dell’1,1% nel 2023. In conseguenza di ciò nei prossimi anni il clima modificherà sensibilmente la composizione e la qualità del vino, incidendo anche sui i costi economici di gestione e di produzione delle aziende vinicole. È pur vero che nuove aree per la coltivazione della vite potrebbero emergere a latitudini, ma anche ad altitudini più elevate ed altre, oggi caratterizzate da un clima più “fresco”, potrebbero a breve assistere ad un aumento della produzione stimabile tra l’11% e il 25%.
Chi soffrirà di più dalle conseguenze del cambiamento climatico saranno le regioni costiere e pianeggianti a cause delle ondate di caldo e dell’eccessiva siccità, mentre si guarda con interesse a zone dove, nonostante l’aumento delle temperature, sussistono condizioni climatiche idonee alla coltivazione della vite che fino a qualche decennio fa venivano considerate marginali, come gli stati americani di Washington e dell’Oregon, l’isola australiana della Tasmania o le coste meridionali del Regno Unito. Molti produttori attuali stanno modificando la genetica ampelografica e la gestione dei vigneti cercando di adattarli al nuovo clima, anche subendo effetti rilevanti sull’impatto economico produttivo.
I cambiamenti climatici non hanno conseguenze solo sulla quantità, ma come emerge da uno studio del Crea-Ve (Consiglio per la ricerca in agricoltura, viticoltura ed enologia) anche la qualità del vino ne risentirà in maniera importante: il caldo influisce sulla maturazione dell’acino, rendendo il vino meno ricco di aromaticità a causa dell’anticipo delle vendemmie per preservare i terpeni che tendono a degradarsi con il caldo; la saturazione cromatica del vino risulta meno intensa in quanto le temperature elevate riducono la produzione di antociani; le uve meno acide generano un pH del vino che è salito in media intorno a 4 e in prospettiva potrebbe essere meno adatto all’evoluzione.
La sfida al cambiamento climatico, oltre ad imporre l’adozione di misure concrete di contenimento degli effetti negativi, potrebbe rappresentare un cambiamento anche culturale e di abitudini per quei territori interessati a nuove opportunità di sviluppo nel settore vitivinicolo.

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