L’incontro con il Molise e il suo “bambino vivace”

21 Nov 2023 | News, newsletter, Stampa

un viaggio di Yuri Valeri (a cura di Sergio Aricò)


Vacanza insolita per chi è abituato a girare il mondo ma talvolta le mete distanti dalla giostra mediatica si rivelano le più suggestive. Nel caso specifico mi riferisco al Molise, piccola regione foriera di un sorprendente tesoro culturale ed enogastronomico da scoprire e assaporare a tutto tondo. Unici compagni di viaggio una tenda e una macchina. Suggestivi gli scenari che ho ammirato lungo il cammino come il parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise dove la natura ancora incontaminata cattura l’anima di chi l’attraversa. Prima di descrivere l’entroterra, menzione particolare merita senza dubbio l’affaccio sul litorale Adriatico dove il mare bagna, tra le altre frazioni, l’incantevole cittadina di Termoli scrigno di tesori architettonici di epoca romanica e normanna e conosciuta anche per l’ottima cucina marinara dove spicca il celebre brodetto termolese. Per quel che concerne la viticoltura, essa ha origini antichissime in Molise: risale ai Sanniti, prima ancora che i Romani ne estendessero la coltivazione in un territorio più ampio.
Ad oggi, sostanzialmente sono due le zone d’elezione per la produzione del vino: da una parte quella pedemontana e costiera, rappresentata in provincia di Campobasso dalla DOC Biferno, l’altra, più interna e montana, in provincia di Isernia, dalla DOC Pentro d’Isernia.

La più recente denominazione Tintilia del Molise DOC, comprende entrambi questi territori. Proprio quest’ultimo vitigno citato rappresenta un unicum nel panorama enologico molisano e nazionale. La Tintilia fu introdotta nella seconda metà del 1700 durante la dominazione spagnola dei Borboni. La sua nomenclatura deriverebbe dalla parola “tinto” che in spagnolo significa rosso anche se da recenti studi portati avanti dall’Università del Molise è emerso che l’origine derivi dalla parola “Tintill” che in molisano vuol dire “bambino vivace”, come la spuma che ribolle durante la sua macerazione.
Dopo il secondo conflitto mondiale del secolo scorso, la ricerca di vitigni più produttivi e lo spostamento delle zone coltivate verso le aree pianeggianti, hanno determinato un progressivo abbandono delle vigne di Tintilia che ha fortemente rischiato l’estinzione finché a salvarla fu Giuseppe Mogavero, esperto agronomo ed enologo, che nella propria azienda riprese la coltivazione del vitigno autoctono comprendendo come il territorio offrisse le condizioni pedoclimatiche ottimali per la sua diffusione e ottenendone, inoltre, la certificazione di origine controllata nel 2011.
L’uva, di colore nero-bluastro, alberga in un grappolo con  acini piccoli  e ricchi di vinaccioli. Il vino che si ottiene dalla Tintilia ha un colore rosso rubino con riflessi violacei, specie in gioventù. Al naso esprime sentori di frutta rossa mentre al gusto si presenta con buona persistenza e presenza di tannini abbastanza eleganti prediligendo affinamenti in acciaio che preservano le sue note speziate.
Durante il soggiorno in queste terre, ho potuto visitare e apprezzare diverse cantine, ciascuna con la propria tipicità, incontrando vignaioli che hanno come comune denominatore la voglia di valorizzare il territorio. Rimarranno impresse indelebilmente nella mia memoria le promenade tra i vigneti e le ricche degustazioni nelle proprietà di Cianfagna in Acquaviva Collecroce, Di Majo Norante in Campomarino, Herrero in Campobasso, Palazzo Livio di Palazzo Federica in Baranello, tutte località in provincia di Campobasso. Ciliegina sulla torta, a mio giudizio, la visita presso l’azienda agricola di Claudio Cipressi in San Felice del Molise a 548 s.l.m che coltiva circa quindici ettari vitati con piante autoctone: 12 di Tintilia, 1,5 di Montepulciano, circa 1 a Falanghina e 0,5 di Trebbiano. In cantina Claudio adotta processi di lavorazione tradizionali, non invasivi, con grande attenzione alle temperature dei mosti e l’utilizzo accurato delle botti per affinare il vino senza alterare un sapore che vuole rispecchiare la personalità del vitigno d’origine ad ogni sorso.
L’esperienza sensoriale è partita con l’assaggio di due metodi Classici: un Blanc de Noir e uno spumante Rosé entrambi Pas Dosé. Il suo Tintilia vinificato in purezza raggiunge buoni risultati con il rosato Collequinto, proseguendo poi con il rosso Settevigne. Sensazionale il Macchiarossa che affina solo in acciaio la cui versione 2.0 è rappresentata dal Tintilia 66 al termine di una maturazione di due anni in botte. Tutti i vini menzionati possono fregiarsi della certificazione biologica dal 2014. In linea generale, i produttori molisani utilizzano come metodo di coltivazione il cordone speronato; dai loro racconti è emersa, però, una certa insoddisfazione per l’annata appena trascorsa a causa delle bizzarrie climatiche e dell’annoso problema del passaggio degli animali selvatici che risultano devastanti nel loro incedere sugli ettari vitati.
Non un dettaglio trascurabile che mi preme sottolineare è, altresì, l’ospitalità calorosa che ho ricevuto da ciascun operatore del settore da cui traspare l’amore, la caparbietà di non abbondonare la terra d’origine e una progettualità nel voler rilanciare il “made in Molise” con i suoi valori e le sue tradizioni.

Per quel che concerne l’aspetto meramente turistico, una giornata intera va dedica al capoluogo di Regione ovvero Campobasso: dopo una passeggiata rilassante a Villa De Capoa, ricca di viali, statue e alberi si prosegue al Museo dei Misteri emblema del tipico folklore molisano per poi dirigersi verso il Castello Monforte, raggiungibile a piedi in circa 15 minuti; si continua verso Palazzo Pistilli corredato da 200 opere esposte, mentre a soli 70 metri di distanza troviamo il Museo Sannico, anch’esso grande e meritevole di tempo per una visita accurata. Dopo una pausa-aperitivo, il tour si conclude alla Cattedrale della S.S. Trinità.
Degna di menzione speciale la città d’Isernia offre diverse attrazioni turistiche tra cui il Museo Nazionale del Paleolitico, il Museo Nazionale di S. Maria delle Monache, il Museo civico, la Fontana Fraterna, la Cattedrale di San Pietro Apostolo, il Santuario dei Santi Cosma e Damiano e il centro storico.
A corollario, un blitz meritano, inoltre, le località di Civitacampomarano famosa per i suoi murales, Agnone, il paese delle campane, Frosolone, per la sua coltelleria artigianale, Larino e Sepino che custodiscono reperti dell’antica Roma, Venafro, sede del primo Parco regionale agricolo storico dell’olivo molisano, detto anche Parco Oraziano, istituito per salvaguardare il patrimonio olivicolo del territorio.

Per gli amanti del trekking, degli sport acquatici o semplicemente per un picnic immerso nella natura consiglio, invece, di visitare il Lago di Castel San Vincenzo al confine con Lazio e Abruzzo.

Passiamo all’analisi di uno degli argomenti clou del diario di viaggio ovvero le delizie gastronomiche. Classificata come cucina “povera”, la molisana riserva delle chicche da non perdere. La produzione di cereali in Molise è rinomata fin dall’antichità e alcuni formati di pasta, oggi diffusi in tutta Italia, sono nati qui, per esempio i fusilli. Altra eccellenza è il Caciocavallo di Agnone: prodotto con latte vaccino, ha la forma di una grossa pera ed è ottimo anche grigliato. Nel 2019 ha vinto l’Italian Cheese Awards come migliore formaggio a pasta filata stagionata d’Italia. L’unico presidio Slow Food del Molise è la Signora di Conca Casale, un grosso insaccato di tagli pregiati del suino (lombo, spalla e il lardo della pancetta e del dorso), sminuzzati al coltello e aromatizzati con pepe in grani, peperoncino, finocchio selvatico e coriandolo. La sua forma ricorda quella di un alveare e si mangia tagliato a fette spesse; era il regalo che si faceva un tempo alle personalità rinomate del paese.
Tipico dell’alto Molise è, invece, il Raviolo Scapolese ripieno di carne macinata e scamorza e condito con un ragù di cosciotto di capra lardellato.
Oltre ai salumi e ai prodotti caseari non mancano i legumi autoctoni come le cicerchie il cui sapore ricorda i ceci, le fave e i piselli.
Il ruolo di protagonista dello street food molisano è assegnato d’ufficio alla Pampanella, un filetto di maiale insaporito con aglio e abbondante peperoncino piccante e dolce, e cotto in forno. Il mio reportage relativo al Molise termina qui con l’auspicio di non avervi annoiato ma suscitato in voi l’interesse di andare a scoprire questo gioiello dall’antico fascino.

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