di Angelo Petracci
Lavorare in modo certosino, quasi maniacale, prima in vigna e poi in cantina per ottenere bottiglie con vini sontuosi per ricchezza di sfumature olfattive e gustative. Conservarle con altrettanta attenzione. E accorgersi poi, al momento della loro apertura, che non assomigliano nessuna all’altra per colore e profumi. Qui tappo ci cova!
È da questa considerazione comune che Graziano Prà, Franz Haas, Silvio Jermann, Walter Massa e Pojer e Sandri hanno dato vita nel 2023 all’associazione “Svitati”, produttori che hanno rotto gli indugi e hanno scelto di imbottigliare tutti i vini con il tappo a vite.
Qualcuno li ha definiti pionieri ma non sono i primi ad usarlo. Pionieri nel senso che sono le prime aziende mito, note in tutto il mondo, che mettono sul banco della riflessione la fiche della loro autorevolezza qualitativa. Non aziende qualunque quindi, che seguono in seconda battuta gli studi e le scelte delle altre ma aziende che tracciano il solco. Senza nessun timore che il tappo a vite possa sminuire il valore percepito dei loro vini iconici. “Assaggiateli, soprattutto tra qualche anno, e ci direte” sembrano suggerirci.
Il tappo a vite in numerose degustazioni comparate ha dimostrato di gestire meglio la microssigenazione del vino, impedendo la permeabilità non controllata del tappo di sughero ed eliminando l’imperfetta sigillatura dovuta alle imprecisioni del vetro nel collo della bottiglia. L’ossigeno metabolizzato dal vino negli anni sarà soltanto quello tra vino e tappo al momento dell’imbottigliamento. È solo l’inizio. Gli assaggi dei prossimi anni dovranno indicare con maggiore precisione se tale volume andrà diminuito od aumentato. O se i vini dovranno andare in bottiglia più maturi rispetto a quelli imbottigliati oggi, perché è chiaro che una minore quantità di ossigeno ne rallenterà l’evoluzione ed esiste la possibilità che aperti giovani possano apparire ancora troppo immaturi. Senza contare che la tecnologia enologica potrà eventualmente cambiare la permeabilità delle membrane che rivestono la parte interna del tappo.
Nell’acceso confronto tra stile convenzionale e naturale è un utilissimo elemento di riflessione e di crescita della consapevolezza enologica: un vino meno aggredito dall’ossigeno ha minore bisogno di anidride solforosa al momento dell’imbottigliamento. E l’alluminio del tappo può essere raccolto e riciclato. Una visione scientifica, istruita, consapevole, pragmatica, scevra da pregiudizi romantici ma non utili per il vino.
Ma dove finirà il fascino creato dall’apertura di una bottiglia con il tappo di sughero? Nello stesso museo dove sono state riposte le fascinazioni suscitate dalle botti cadenti e dalle cantine polverose e piene di ragnatele. Per lasciare spazio invece alle emozioni che sapranno regalare vini ancora integri nei colori e nei profumi aperti dopo molti anni di conservazione.
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